A cura dell'Avv. Gianfranco PARIS, Direttore responsabile del mensile MONDO SABINO:

RIETI, LA POLITICA E LE CHIACCHIERE

<< E’ dagli anni ottanta che si parla di dare una sistemazione urbanistica alle aree ex industriali degli anni della prima industrializzazione della città di Rieti. Esse furono concepite e realizzate nella zona immediatamente fuori le mura medievali del centro storico, quando tutto al di fuori della cinta era terreno agricolo, intensamente coltivato e con buoni risultati da una gestione che si realizzava attraverso la soccida mezzadrile di matrice papalina fin dai secoli precedenti. E su questa attività nacque per primo lo zuccherificio, il primo in Italia, per la lavorazione delle belle e succulente barbabietole della piana. Allora lo zuccherificio stava fuori della città e fu giusto collocarlo in quella posizione, nei pressi della villa Maraini, uno dei proprietari terrieri più importanti dell’epoca che ebbe un ruolo importantissimo per il suo insediamento. Erano gli anni della seconda metà dell’ottocento e l’Italia era stata unificata da pochi decenni.

All’inizio del secolo ventesimo arrivò la Montecatini, una delle industrie nazionali più importanti dell’epoca, che si aggiunse dall’altra parte del viale Maraini e più tardi negli anni trenta la Viscosa. Un modello industriale per l’epoca all’avanguardia che non solo comprendeva gli stabilimenti della fabbrica, ma anche le villette per i dirigenti e le case per i dipendenti. Un modello industriale che per l’epoca può considerarsi all’avanguardia.
E furono queste tre industrie a cambiare per la prima volta il volto alla città di Rieti, fino ad allora centro agricolo di grande prestigio, dove operò anche il grande Nazzareno Strampelli al servizio della genetica agricola.
Fu anche un periodo florido perché consentì un notevole sviluppo della città ed un miglioramento delle condizioni della popolazione non trascurabile.
Poi venne la guerra e con essa cambiarono i termini dello sviluppo economico. Ma nessuno fu capace di capire che, se le cose fossero rimaste immutate, presto questo tipo di industrializzazione sarebbe stato spazzato via senza pietà con le ovvie conseguenze negative.
Così prima è stato chiuso lo zuccherificio, poi la Montecatini ed infine, proprio ora, la Viscosa, anche se alla stessa era stato cambiato nome. Tutti sanno che in Italia i capitalisti (i padroni) non investono per riconvertire le loro industrie, essi vogliono solo gli utili lasciando gli oneri alla collettività, così la sorte di quelle industrie era segnata fin dall’immediato dopoguerra.
Ormai da tempo quelle aree sono archeologia industriale, completamente abbandonate, eccetto la ex Viscosa, dove dominano le sterpaglie e l’abbandono.
Se fossero ubicate in una città gestita da persone di media intelligenza,già da tempo si sarebbe trovata una nuova forma di utilizzazione proficua per la città, anche perché la loro ubicazione si presta a molte buone utilizzazioni.
Invece da circa trent’anni si discute inutilmente con proposte le più strampalate, che comunque hanno alla base l’intenzione di utilizzare la maggior cubatura per case di abitazione e negozi, che sono l’unica attività della industria edilizia locale che realizza molti utili senza alcun investimento. La vicinanza di queste aree al centro storico è garanzia di una sostanziosa speculazione edilizia, così fanno gola a molti che ogni tanto ci provano.
La cosa non è ancora riuscita perché non si è mai trovata la soluzione che accontenti tutti gli interessati, tra i quali i politici locali che hanno sempre tratto utili corposi da questo tipo di decisioni.
Giovedì scorso si è tornati a parlare della cosa in consiglio comunale e subito si è scatnata una nuova bagarre. Così è stata proposta una commissione, l’ennesima che non servirà a nulla perché faccia delle proposte.
Ma non si tratta di proposte, si tratta solo di mettersi d’accordo, infatti nessuna proposta anche la più valida passerà mai se non ci sarà il viatico della convenienza appagata.
Anni fa pubblicai su Mondo Sabino lo studio redatto da due giovani architette, fatto in occasione della tesi di laurea, che individuava bene una utilizzazione dell’ex zuccherificio come zona fieristica e polifunzionale della quale la città di Rieti avrebbe molto bisogno. Sarebbe convenuta soprattutto alla proprietà. Ma era carente di case di abitazione e nessuno la prese in considerazione.
Ora si torna a nuove chiacchiere, intanto si fa finta di amministrare, mentre la città avrebbe bisogno di spazi da dedicare allo stimolo di tutte le attività, da quelle economiche a quelle culturali, da quelle sportive a quelle ricreative. Un centro di propulsione di ogni iniziativa, come ce n’è nella maggior parte delle città del mondo, che siano degne di questo nome.
Riusciranno questa volta i nostri baldi a partorire qualche cosa concreta, noi ci accontentiamo di sperarlo e lo auguriamo alla cittadinanza.

UNA FONDAZIONE PER UN ENTE TEATRALE

Sempre lo stesso consiglio comunale questa volta ha partorito un’idea che a prima vista sembra buona. La costituzione di una Fondazione per gestire un ente teatrale reatino.
Dovrebbe trattarsi di un Fondo di capitali misto, pubblici e privati, gestito per garantire alla città di Rieti una gestione proficua del Teatro Flavio Vespasiano. Una specie di Teatro Stabile.
L’idea è buona e auspichiamo che Formichetti ed il Sindaco questa volta ce la facciano. Ma la cosa più difficile non è la costituzione della Fondazione, è quello che viene dopo: la sua gestione, che per funzionare dovrebbe essere rigorosa, competente e scevra dai condizionamenti del sottogoverno provocato dalle spinte dei suoi sottoscrittori.
L’Italia è piena di esempi negativi di questo genere nei quali non prevale la sana gestione, ma lo sperpero per favorire amici e distribuire prebende.
Io voglio augurarmi che non sia così, ed auguro a Formichetti di saper scegliere le persone giuste e se ci riuscirà avrà coronato bene il suo plurimandato di assessore! >>.

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