di Alda VANZAN

Chandàla scuote la testa: «Hanno sbagliato tutto, ma come si fa a dare una sedia a Sua Santità?». Chandàla - che si chiama così da quando è diventata buddista e non c’è verso a farle rivelare il suo vero vecchio nome di battesimo perché, anche se è di Feltre, si definisce «cittadina del mondo» - è avvolta in una bandiera del Tibet e, nell’atrio di Ca’ Farsetti, davanti al maxischermo che trasmette in diretta la cerimonia per il conferimento al Dalai lama della cittadinanza onoraria di Venezia, pietisce un pass a qualsiasi cronista le capiti attorno: «Per favore, voglio entrare solo un attimo». Nel frattempo, non senza celare sdegno per come è stata organizzata la cerimonia in Comune, impartisce lezioni di cerimoniale tibetano. Primo: al Dalai Lama non andava data una poltrona. «Una vergogna. Già gli è toccato mettersi le scarpe, adesso anche la sedia. Dovevano preparare un paio di cuscini e lui si sarebbe seduto in posizione yoga». Secondo: i colori. «Troppe grisaglie là dentro, tutto quel nero toglie le energie». Effettivamente i politici veneziani e le autorità sono in gran spolvero, esattamente come la sala dove sono comparse le tende damascate delle grandi occasioni. Perfino il compagno di Rifondazione Sebastiano Bonzio è in giacca e cravatta. Ma non è vero che sono tutti "scuri": il consigliere Vittorio Pepe - l’unico, con Giorgio Reato, in maglioncino di lana - è in rosa. E poi c’è tanto arancione. Come il vestito lungo in seta della vicepresidente del consiglio comunale Silvia Spignesi. O la giacchina della consigliera Anna Gandini.

O ancora le cravatte di Rosa Salva, Maggioni, Guzzo. E anche di Arrigo Cipriani, seduto tra il pubblico. Colore azzeccato, a sentire Chandàla la buddista di Feltre: «L’arancio è perfetto, è il colore del plesso solare. Ottimi anche il rosso e il bordeaux. E ancor meglio il bianco, il colore del terzo occhio». Chi l’ascolta comincia a darle credito, se non altro perché bianche sono le sciarpe che, al termine della cerimonia, il Dalai Lama avvolge attorno al collo del sindaco e poi del presidente del consiglio comunale, suscitando però reazioni di tipo opposto da parte del pubblico (femminile): «Che bèo» quando la sciarpa avvolge Massimo Cacciari, un brusìo quando tocca a Renato Boraso. Giù nell’atrio di Ca’ Farsetti, intanto, scende Ivo Pulcini: è un medico che sta a Roma e che da anni a settembre si trasferisce a Salsomaggiore per seguire Enzo Mirigliani e tutte le miss di Miss Italia e che per la Befana organizza sempre un gala benefico per i bambini tibetani. E quando il Dalai Lama capita in Italia, è il dottor Pulcini a stargli dietro. L’ha fatto anche stavolta che era reduce da un ricovero e l’ha rassicurato: è vero che la spalla sinistra gli fa male (e infatti, mentre parlava a Ca’ Farsetti, a un certo punto il Dalai Lama ha preferito stare in piedi per appoggiare il braccio su uno scranno), ma la causa parte da destra. Tradotto: cervicali. Traduzione politica di Pulcini: «Al Dalai Lama ho detto: questo è il Tibet, cioè la spalla sinistra che soffre, e questa la Cina, la spalla destra che causa il dolore». Chiaro. Intanto piove e l’acqua alta cresce. Meno del previsto (107 centimetri, la previsione era 120), ma quanto basta per costringere il Dalai Lama e tutti quelli che lo seguono da Ca’ Farsetti fino alla Marciana a usare, dopo il tragitto in motoscafo, le passerelle. In biblioteca c’è uno striscione in tibetano che nessuno riesce a tradurre, arriva anche Marco Pannella, ma solo in due tra il pubblico restano in piedi, le mani giunte, ad ascoltare il Dalai Lama che parla. L’applauso scoppia dopo che Marino Finozzi, il presidente del consiglio regionale, consegna la bandiera del Veneto e il leader spirituale dei buddisti tibetani se la mette addosso come una stola. In Cina, c’è da credere, non applaudiranno. (articolo tratto dal Gazzettino di Venezia)