Presso due tensostrutture, allestite durante la notte nel cortile antistante l’Istituto Don MINOZZI, il Vescovo della Diocesi di Rieti, Mons. Domenico POMPILI, ha celebrato i solenni funerali di Stato di 28 delle vittime del terremoto del 24 agosto. La cerimonia (nella foto) si è svolta alla presenza delle più alte cariche dello Stato: il Presidente della Repubblica Sergio MATTARELLA, il Presidente del Consiglio Matteo RENZI, i Presidenti di Camera e Senato Laura BOLDRINI e Pietro GRASSO. Durante il pomeriggio di ieri è stato incessante l’afflusso di parenti e amici delle vittime, a cui il volontariato di Protezione Civile ha fornito assistenza costante. Nell'omelia, Mons. POMPILI ha ricordato come siano le opere dell'uomo a uccidere e non il terremoto e ha espresso l'auspicio che nei luoghi colpiti dal sisma torni a rivivere la bellezza. Al termine della funzione, dopo la benedizione delle salme, la comunità di Amatrice ha dedicato un lungo e commosso applauso alle sue vittime, seguito da decine di palloncini bianchi liberati verso il cielo. Nei prossimi giorni, l’area in cui si è svolta la cerimonia sarà utilizzata per allestire un Pass, cioè un posto d'assistenza socio sanitaria destinato ai cittadini.

 

Questo il testo integrale dell’omelia: (Lam 3, 17-26; Sl 129; Mt 11, 25,30) “Mi hanno spezzato con la sabbia i denti, mi ha steso nella polvere. Son rimasto lontano dalla pace, ho dimenticato il benessere”. Il brano delle Lamentazioni descrive la distruzione di Gerusalemme, ma si presta bene ad evocare la devastazione di Amatrice e di Accumoli. Sembra di risentire i sopravvissuti: un rumore assordante, pietre che precipitano come pioggia, una marea asfissiante di polvere. Poi le urla. Quindi il buio. Il brano ispirato prosegue: “Buono è il Signore con chi spera in lui, con l’anima che lo cerca. E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore”. Si intuisce che Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio. Al contrario, si invita a guardare in quell’unica direzione come possibile salvezza. In realtà, la domanda “Dov’ è Dio?” non va posta dopo, ma va posta prima e comunque sempre per interpretare la vita e la morte. Come pure, va evitato di accontentarsi di risposte patetiche e al limite della superstizione. Come quando si invoca il destino, la sfortuna, la coincidenza impressionante delle circostanze.  A dire il vero: il terremoto ha altrove la sua genesi! I terremoti esistono da quando esiste la terra e l’uomo non era neppure un agglomerato di cellule. I paesaggi che vediamo e che ci stupiscono per la loro bellezza sono dovuti alla sequenza dei terremoti. Le montagne si sono originate da questi eventi e racchiudono in loro l’elemento essenziale per la vita dell’uomo: l’acqua dolce.

Senza terremoti non esisterebbero dunque le montagne e forse neppure l’uomo e le altre forme di vita. Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo! “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò… sono mite e umile di cuore”. Le parole del Maestro sono come un balsamo sulle ferite fisiche, psicologiche e spirituali di tantissimi. Troppi. Non basteranno giorni, ci vorranno anni. Sopra a tutto è richiesta una qualità di cui Gesù si fa interprete: la mitezza. Che è una ‘forza’ distante sia dalla muscolare ingenuità di chi promette tutto all’istante, sia dall’inerzia rassegnata di chi già si volge altrove. La mitezza dice, invece, di un coinvolgimento tenero e tenace, di un abbraccio forte e discreto, di un impegno a breve, medio e lungo periodo. Solo così la ricostruzione non sarà una ‘querelle politica’ o una forma di sciacallaggio di varia natura, ma quel che deve: far rivivere una bellezza di cui siamo custodi. Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta. Abitiamo una terra verde, terra di pastori. Dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che salvaguardi la forza amorevole e tenace del pastore. Come si ricava da un messaggio in forma poetica che mi è giunto oltre alle preghiere: “Di Geremia, il profeta, rimbomba la voce: ‘Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più’. Non ti abbandoneremo uomo dell’Appennino: l’ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra. Dell’alba ancor ti stupirai”.