Lunedì 17 febbraio verrà ricordato uno degli episodi più drammatici del lontano 1600, l’epoca che traghettò il mondo occidentale dalla cristianità all’illuminismo, passando attraverso il trauma culturale e religioso del Rinascimento e della Riforma. L’Associazione Nazionale del Libero Pensiero ricorderà la figura Giordano BRUNO, uno dei principali protagonisti di questa rivoluzione culturale. Infatti, il 17 febbraio dell’Anno Santo 1600, al termine di un processo durato ben nove anni, Giordano veniva condannato a morte, condotto al rogo con la bocca inchiavardata e bruciato vivo in Campo dei Fiori. Un evento diventato, specie dall’800, un simbolo dell’Inquisizione. Il programma delle iniziative, che si svolgeranno in Campo dei Fiori dalle ore 16.45, è consultabile sul sito www.periodicoliberopensiero.it. Di seguito, vi proponiamo la biografia di Giordano BRUNO curata da Giorgio GIANNINI: << Giordano Bruno nasce a Nola nel gennaio o febbraio 1548 da Giovanni Bruno, soldato di ventura al servizio degli spagnoli, e da Fraulissa Savolino, appartenente ad una famiglia di piccoli proprietari terrieri. E' battezzato con il nome di Filippo. Frequenta prima la scuola di Gian Domenico de Jannello e poi quella di Bartolo Aloia delle Castelle. Nel 1562, a 14 anni, va a Napoli per proseguire gli studi in Lettere, Logica e Dialettica nella Libera Università, ospite dello zio Agostino. Segue le lezioni di Dialettica tenute da Giovanni Vincenzo Colle, detto il Sarnese, di idee averroistiche.

Studia la Logica con l'agostiniano Teofilo da Vairano e si appassiona all’arte della memoria (mnemotecnica) in seguito alla lettura di un'opera di Pietro Ravennate. La vita della città, troppo caotica, non gli piace e lo induce alla meditazione. Nel 1563 decide di intraprendere la vita religiosa. Il 15 giugno entra come novizio nell'Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), presso il convento di San Domenico Maggiore ed assume il nome di Giordano, forse in onore del suo maestro di Metafisica, il domenicano Giordano Crispo. Sicuramente legge le opere del celebre naturalista G. Della Porta (1535-1615), che nel 1558 ha pubblicato la “Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium”, in 4 libri, per la quale subisce un processo per stregoneria. Il 16 giugno 1566 conclude il noviziato e prende i voti davanti al Priore Ambrogio Pasqua. Inizia però a tenere un comportamento sospetto, infatti toglie dalla cella le immagini dei Santi, lasciando solo il crocefisso e professa dubbi sul dogma della Trinità. Viene quindi sospettato di eresia dal maestro dei novizi Eugenio Gagliardo, che lo accusa di disprezzare il culto di Maria e dei Santi. Però non inoltra la denuncia ai superiori. In seguito Bruno è ammesso a frequentare, dopo gli studi di retorica, anche quelli di logica e di metafisica. Alla fine del 1568, probabilmente si reca a Roma per dimostrare al Papa Pio V le sue capacità mnemotecniche, recitando un salmo in ebraico appena dopo averlo letto. Al Papa dedica un'operetta morale L'arca di Noè, andata perduta. Nel 1570 è Suddiacono e nel 1571 Diacono. Nel 1572 è ordinato Sacerdote e celebra la prima messa. E' avviato agli studi teologici superiori presso lo stesso convento di San Domenico. Nel 1575 ottiene la licenza (laurea) in Teologia discutendo alcune importanti tesi ed è nominato lettore (docente) di Teologia nell'Ordine dei Domenicani. In questo periodo, durante una discussione sull’eresia ariana, esprime alcune considerazioni non ortodosse sul dogma della Trinità, in particolare sui rapporti tra il Padre ed il Figlio. Inoltre, è trovato in possesso di una copia delle opere di San Crisostomo e San Girolamo con il commento di Erasmo da Rotterdam. Poiché ha contravvenuto a quanto specificamente stabilito nel Capitolo Generale dell'Ordine del 1569 contro le opere erasmiane, il Padre Provinciale avvia all’inizio del 1576 un processo contro di lui per eresia. Nel febbraio, Bruno, temendo di essere imprigionato, fugge a Roma, dove chiede ospitalità al convento domenicano di S.Maria sopra Minerva. Roma però non è più un grande centro culturale; infatti, dopo la fine del Concilio di Trento, Roma è diventata il centro della Controriforma. Pertanto Bruno capisce che non può trovare in questa città quella libertà di espressione che desidera. Peraltro negli anni precedenti ci sono state alcune condanne per eresia: nel 1567 è mandato al rogo l’ex segretario del Papa Clemente VII, Pietro Carnesecchi, gentiluomo fiorentino, accusato di aver aderito alla riforma valdese; nel 1570 sono condannati al rogo Aonio Paleario (Antonio Delle Paglie, di Veroli- Frosinone), tenace assertore della riconciliazione con i riformatori, e Niccolò Franco, che aveva scritto “La Priapea”, un’opera contro i corrotti nipoti del Papa Paolo IV Carafa. Inoltre, dal 1572 è Papa Gregorio XIII, molto ortodosso nella sua fede religiosa, tanto da celebrare, con un solenne Te Deum e con la coniazione di una medaglia e l’emanazione di una bolla, la sanguinosa strage degli Ugonotti francesi (oltre 3.000 vittime) avvenuta la notte del 24 agosto 1572 (conosciuta come “notte di San Bartolomeo”), per ordine della Regina Caterina de’ Medici, reggente del Trono di Francia per il figlio Francesco II, dopo la morte del marito Enrico II. Solo nel 1598, con l’Editto di Nantes, che pone fine alle lotte di religione in Francia, viene riconosciuta la libertà di pensiero e di culto agli Ugonotti. A Roma, inoltre, da alcuni anni sono perseguitati gli autori delle satire politiche (polizze) affisse sul piedistallo delle statue di Pasquino e di Marforio. A Roma Bruno partecipa a manifestazioni popolari, inoltre è accusato di aver provocato la morte per annegamento nel Tevere, per averlo gettato nel fiume, di un suo confratello napoletano, dal quale sospettava di essere stato denunciato a Napoli. Lascia pertanto, nel marzo 1576, la città vestendo in abiti civili e diventando quindi apostata; si reca prima a Genova e poi a Noli (Savona - appartenente alla Repubblica di Genova) dove rimane quattro mesi, insegnando grammatica e astronomia. Nel 1577 si reca prima a Savona, poi a Torino e, attraverso il Po, a Venezia, dove fa stampare l'opuscolo De' segni de' tempi, andato purtroppo perduto. A causa della peste scoppiata nella Capitale della Serenissima Repubblica, si reca a Padova ( dove è convinto da alcuni domenicani a vestire di nuovo l'abito religioso) , poi a Brescia (dove guarisce un monaco indemoniato), a Bergamo, a Milano, a Torino ed infine a Chambery (Svizzera). Da questo momento Bruno inizia, come molti altri intellettuali italiani perseguitati per le loro idee, a girovagare per l’Europa, sperando di trovare il posto giusto in cui potersi esprimere liberamente. Però Bruno non trova pace nel suo peregrinare. A Chambery Bruno raccoglie i propri scritti. La freddezza dei confratelli che lo ospitano lo spinge, nella primavera 1578, a recarsi a Ginevra, dove è accolto dal marchese di Vico Gian Galeazzo Caracciolo, che aveva fondato dal 1552 nella città una comunità evangelica italiana. Bruno lascia definitivamente l'abito religioso e aderisce al calvinismo. Il 20 maggio 1579 si iscrive nella locale Accademia e per vivere fa il correttore di bozze. Il 6 agosto pubblica un volantino nel quale illustra venti errori nei quali sarebbe incorso, durante una sola lezione, il docente di Filosofia Antoine de La Faye, fanatico calvinista, il quale lo cita in giudizio per diffamazione. Bruno è arrestato. Il processo si conclude con la ritrattazione da parte di Bruno. Bruno lascia Ginevra e si reca in Francia, prima a Lione (dove c’erano numerosi tipografi italiani) e poi a Tolosa, dove insegna privatamente Filosofia e Astronomia. All’Università di Tolosa consegue il titolo di magister artium discutendo una tesi su Pietro Lombardo, e diventa lettore ordinario (docente) di Filosofia presso la locale Università, dove per circa due anni tiene lezioni sulla filosofia di Aristotele. Pubblica un’opera andata perduta: il De anima. Scrive anche la Clavis Magna, un trattato di mnemotecnica, rimasto inedito e andato anch’esso perduto. Nel 1580 cerca di far ritirare la scomunica, ma non ci riesce. Nel 1581 lascia Tolosa (probabilmente per l’acuirsi della lotta religiosa tra i cattolici e gli ugonotti-riformatori ) e si reca a Parigi, dove insegna come lettore (docente) straordinario di Teologia presso il College de Cambrai, (non può essere lettore ordinario perché in questo caso doveva frequentare la messa, cosa a lui vietata in quanto apostata), tenendo un ciclo di trenta lezioni sugli attributi divini. Per la sua attività si fa conoscere dal Re Enrico III di Valois, che lo protegge. Pubblica un’altra opera andata perduta: I predicamenti di Dio. Nel 1582 pubblica a Parigi la sua prima importante opera, il De umbris idearum, con un'appendice sull'Ars memoriae dedicata al Re Enrico III, che lo nomina lettore reale rendendolo così indipendente dalle dottrine filoaristoteliche dominanti all’Università della Sorbona. Durante il soggiorno parigino Bruno aderisce alla fazione moderata dei “politiques” (politici) ispirata dal Re, favorevole ad una pacifica convivenza tra cattolici ed ugonotti. In questo periodo scrive altre opere tra le quali la commedia Il Candelaio, che è la sua prima opera in italiano volgare. Nel 1583 si reca in Inghilterra, munito di una lettera di raccomandazione del Re Enrico III al seguito dell’Ambasciatore francese presso la Corte inglese Michel de Castelnau. Va a vivere a Oxford, presso la cui Università ottiene l'insegnamento di Teologia trattando il tema dell'immortalità dell'anima e le dottrine astronomiche. In seguito ad una disputa, nella Chiesa della Vergine, con il teologo John Underhill e con altri docenti oxoniensi filoaristotelici, è costretto a lasciare la città e a trasferirsi a Londra, dove è ospitato per circa due anni dall'ambasciatore francese. Negli anni 1584-1585, durante il suo soggiorno a Londra, pubblica i cosiddetti Dialoghi italiani: La cena delle ceneri (in difesa della teoria copernicana), De la Causa, Principio et Uno, De l'Infinito Universo et Mondi (in cui espone la sua concezione metafisica del mondo costituito da un “Universo uno, infinito, immobile, impartibile”), Lo spaccio della bestia trionfante, La Cabala del cavallo Pegaseo. Nel 1585 ritorna a Parigi con l’Ambasciatore francese e pubblica altre sue opere (Degli heroici furori - che sono una specie di profezia sulla sua tragica morte - e l’Arbor philosophicarum - contro la filosofia aristotelica, andato perduto). Cerca di nuovo di rappacificarsi con la Chiesa, attraverso il Vescovo Ragazzoni, ma non ottiene nulla. Frequenta la Biblioteca di Saint Victor, diretta da Cotin, che raccoglie nel suo diario molte sue confidenze. In seguito alle sue accese discussioni al College de Cambrai contro la filosofia aristotelica ed anche per il prevalere del partito integralista cattolico, che fa capo al Duca di Guisa, nel giugno 1585 è costretto a lasciare Parigi. Si reca quindi in Germania. Dopo un brevissimo soggiorno a Magonza, Treviri e Wiesbaden giunge a Marburgo, dove però il Rettore della locale Università Negadius, gli nega il permesso di insegnare la filosofia a causa delle idee filo aristoteliche dominanti nell’Università. Si reca, quindi, nell’agosto 1586 a Wittemberg, presso la cui Università è accolto dal rettore Mylius come doctor italus (docente straordinario), godendo della più ampia libertà di insegnamento (alla porta della cattedrale di questa città Lutero aveva affisso nel 1517 le sue famose 95 tesi ): è questo il periodo più bello della sua vita. Pubblica altre sue opere e tiene privatamente un corso sulla Rhetorica ad Alexandrum. Anche l'anno seguente (1587) cura altre pubblicazioni, a commento di opere aristoteliche. e sulla mnemotecnica. Però Cristiano, il nuovo sovrano calvinista della Sassonia, succeduto ad Alberto, che era luterano, nomina una Commissione per il controllo dell’Università, che mette all’indice i libri di Bruno. Così, in seguito al prevalere della Chiesa Calvinista - dalla quale era stato scomunicato - su quella Luterana, Bruno, l’otto marzo 1588 tiene il discorso di commiato all’Università (oratio validictaria) e si reca a Praga, dove si trovano molti italiani (intellettuali, medici, architetti, mercanti), probabilmente attirato dalla politica dell'Imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II d’Asburgo a favore delle scienze, al quale dedica l’opera Centum quadraginta articula adversos mathematico (un bel testo sulla tolleranza religiosa), ricevendo un compenso di 300 talleri. A Praga pubblica due altre opere. Il 13 gennaio 1589 si reca a Helmstadt, dove insegna all'Accademia Julia ed all’Università. Riceve un compenso di 80 scudi dal figlio del Granduca di Brunswig per il suo discorso funebre (oratio consolatoria) in onore del padre Giulio, considerato eretico. Scrive altre opere, tra le quali il De magia e il De magia mathematica. Aderisce al luteranesimo. Nell’aprile 1590, in seguito alla scomunica inflittagli dalle autorità luterane, il pastore Boethius lo espelle dalla città. Bruno si trasferisce quindi a Francoforte, dove alloggia in un convento di Carmelitani. Pubblica i tre poemi latini dedicati al defunto Duca di Brunswig. Nel luglio 1590 è costretto a lasciare la città e si trasferisce a Zurigo (Svizzera), dove impartisce lezioni di filosofia ad alcuni dottori, tra i quali Raphael Egli che le raccoglie in un opuscolo pubblicato nel 1609 a Marburgo. Ritorna quindi a Francoforte, dove pubblica altre opere presso lo stampatore J. Wechel. Si tratta dei poemi latini De triplici minimo et mensura, De monade, numero et figura, De innumerabilibus immenso et infigurabili. Nella primavera 1591 riceve una lettera del nobile veneziano Giovanni Mocenigo che lo invita a Venezia per apprendere l'arte della memoria (mnemotecnica). In autunno parte per la Repubblica Veneta; soggiorna tre mesi a Padova, dove impartisce lezioni a studenti tedeschi, forse sperando di poter insegnare nella locale Università, ai cui docenti era garantita ampia libertà dal Senato Veneto. Però , nel settembre 1591, la sua domanda di insegnamento è respinta. A Padova pubblica il De vinculis in genere, scritto in Germania. Si reca quindi a Venezia. All’inizio del 1592, dopo pochi mesi al servizio del nobile veneziano, che è insoddisfatto del suo insegnamento, chiede il permesso di ritornare a Francoforte per pubblicare altre opere, che però gli è negato. A Venezia Bruno pubblica delle opere andate perdute. Il 22 maggio 1592 Giovanni Mocenigo lo denuncia all'Inquisizione Veneta con l’accusa di affermazioni sospette di eresia. Bruno è subito arrestato e rinchiuso nelle carceri di San Domenico di Castello. Il 25 maggio viene interrogato dal Tribunale dell'Inquisizione, composto dall'Inquisitore delegato dal Sant’Uffizio (fra Gabriele da Saluzzo), dal Patriarca di Venezia (Cardinale Priola), dal Legato pontificio (Cardinale Taverna) e da tre nobili veneziani. I capi di imputazione sono 29 (sulla Trinità, sulla divinità di Cristo, sul culto dei Santi, sulla reincarnazione, sulla verginità di Maria, sull'arte divinatoria, sull'infinità dei mondi, sulle eresie, sui peccati ...). A questi capi di accusa si aggiungono alcune sue risposte non soddisfacenti alle domande formulate dai giudici. Fino al 30 luglio subisce ben sette interrogatori. Bruno sviluppa la propria difesa sostenendo che nelle sue opere ha sempre voluto fare delle dissertazioni filosofiche e non teologiche ("abbi diffinito filosoficamente e secondo il principio e lume naturale, non avendo riguardo principale a quello che, secondo la fede, deve essere tenuto ..."). Il 30 giugno si dichiara pentito ed abiura, chiedendo perdono al Tribunale ed a Dio se nelle sue opere fossero state riconosciute affermazioni contrarie alla dottrina cattolica. In questo punto il processo sembrava mettersi per il meglio, anche in seguito alla favorevole deposizione del nobile veneziano Morosini. Gli atti del processo vengono inviati a Roma per il parere del Tribunale Centrale dell’Inquisizione, come prescritto da un decreto del Sant’Uffizio del 1581. Però il Cardinale di Santa Severina, Supremo Inquisitore a Roma, chiede l'avocazione del processo presso il Tribunale Centrale, presieduto dal Pontefice. Il 7 gennaio 1593, il Senato della Repubblica Veneta (il Maggior Consiglio) dopo aver tentato di resistere alla pretesa del Sant'Uffizio, arresta Bruno che il 19 febbraio 1593 parte per essere trasferito a Roma, dove arriva il giorno 27 ed è subito rinchiuso nel palazzo del Sant’Uffizio in Vaticano. Il Sant’Uffizio nell’estate presenta 13 nuovi capi d'accusa in seguito alle deposizioni di fra Celestino da Verona, compagno di cella di Bruno nel carcere veneziano. A Roma Bruno è invitato più volte a "mutar parere", ma non cede agli inquisitori romani, diversamente da come aveva fatto a Venezia dove aveva mostrato la volontà di riconoscere i propri errori e di abiurare. Durante l’estate Bruno subisce il 16° interrogatorio. L’avvocato del Tribunale (il Fiscal) invita Bruno a presentare la sua difesa, che è consegnata il 20 dicembre. Bruno, consapevole che lo attendono anni di dura prigionia, con sofferenze e torture, rimane fermo sulle sue posizioni, dimostrando grande dignità. Tra il gennaio ed il marzo 1594 vengono interrogati gli accusatori ed i testimoni a suo carico, Bruno è interrogato più volte e presenta un memoriale in sua difesa che però non ci è pervenuto. Nel 1595 a Londra Raphael Englin, uno degli uditori di Bruno, pubblica la Summa terminorum metaphisicorum. Nel 1595 il Sant'Uffizio stabilisce che una commissione di teologi esamini le opere di Bruno per individuare le proposizioni eretiche e redigere l’atto di accusa, pronto nel dicembre 1996. Così, per un paio di anni il procedimento contro Bruno è accantonato (in quel periodo l'Inquisizione si interessa di altri sospetti eretici, tra i quali Tommaso Campanella). Nel marzo 1997 gli viene consegnata una copia delle censure formulate dai teologi ed è interrogato ripetutamente su di esse (il 27 marzo 1597 subisce il 17 interrogatorio e forse anche la tortura); è più volte esortato ad abbandonare le sue teorie, ma non recede dalle sue posizioni. A dicembre gli si chiede una nuova memoria difensiva. Nel marzo 1598 è redatto un sommario del processo per essere consegnato al Papa Clemente VIII che però si trova a Ferrara, da poco annessa allo Stato pontificio. Così la causa è sospesa per l'assenza da Roma del Papa. Il 18 gennaio 1599, su indicazione del Cardinale Roberto Bellarmino, da poco nominato membro del Tribunale, vengono sottoposte a Bruno otto proposizioni eretiche da abiurare e gli viene concesso un periodo di riflessione di 6 giorni. Il 25 gennaio Bruno dichiara di essere disposto all'abiura, ma consegna una memoria difensiva indirizzata al Pontefice. Nell’udienza del 4 febbraio, presieduta dal Papa, si decide di sottoporgli di nuovo le otto proposizioni eretiche, cosa che viene fatta il 15 dello stesso mese da una commissione di teologi appositamente nominata, assegnandogli un periodo di riflessione di 40 giorni. Alla nuova udienza davanti al Tribunale, Bruno si dichiara pentito e disposto all’abiura, ma successivamente, il 15 aprile, consegna un’altra memoria difensiva, nella quale, pur dichiarando di essere disposto a riconoscere i propri errori, contesta la prima e la settima proposizione da abiurare. Il 24 agosto il Cardinale Bellarmino respinge la difesa di Bruno. Il 10 settembre il Tribunale dell'Inquisizione assegna a Bruno un ultimo periodo di riflessione di 40 giorni, ma non si pente e sfida alla discussione sui suoi principi qualsiasi teologo. Come ultimo tentativo di persuasione, il 21 dicembre parlano con Bruno il Superiore Generale dei Domenicani, fra Ippolito Maria Beccaria, ed il Procuratore Generale dell’Ordine, fra Paolo Isaresio della Mirandola, per convincerlo a riconoscere i propri errori, ma Bruno risponde che "non deve, né vuole pentirsi, non ha di che pentirsi, non ha materia di pentimento, non sa di che cosa si debba pentire". Il 20 gennaio dell'anno santo 1600 il Papa, letta la relazione del Superiore dei Domenicani, decide di concludere il processo. Così, l’otto febbraio, nel Palazzo del Cardinale Madruzzi, il Procuratore Giulio Materenzii legge la sentenza con la quale si condanna Bruno come "eretico impenitente, pertinace e ostinato" e lo si degrada dagli ordini ecclesiastici. Bruno attacca i giudici dicendo loro :"voi che immolate nel nome di Dio delle misericordie, voi certo trepidate nelle vostre coscienze nel pronunciare la mia condanna più che si scota il mio spirito nell'ascoltarla". Bruno viene quindi consegnato al "braccio secolare" della Chiesa, cioè al Governatore di Roma, invitandolo però ad evitare la “effusione di sangue e la mutilazione di membra”. Bruno è richiuso nelle carceri criminali di Tor di Nona in attesa dell’esecuzione della sentenza di morte, decisa per il 12 febbraio e poi rinviata al 17 febbraio. All'alba del 17 febbraio 1600 (giovedì) gli viene messa la "mordacchia" (una specie di museruola con un grosso chiodo ricurvo conficcato nella lingua ) in modo che non possa parlare. E' condotto nella Piazza Campo de' Fiori. E’ spogliato nudo e legato ad un palo posto sopra una catasta di legna, sulla quale è bruciato vivo mentre la Confraternita di San Giovanni decollato canta le litanie. Gli porgono il crocefisso da baciare, ma Bruno si gira dall’altra parte. Dell’esecuzione di Bruno si da notizia in un “avviso” (note scritte inviate da informatori ai propri corrispondenti) del 19 febbraio con queste parole: “Da Roma 19 febbraio 1600. Giovedì fu abbrugiato vivo in Campo di Fiori quel frate di San Domenico da Nolla, heretico pertinace, con la lingua in giova per le bruttissime parole che diceva, senza voler ascoltare confortatori né altri”. Gli atti originali del processo a Bruno non si sono trovati. E’ comunque pervenuto un ampio Sommario, scritto da un Cancelliere nel 1598 per riepilogare ai giudici le varie fasi del lungo processo, rinvenuto nell’archivio personale del Papa Pio IX. Giordano Bruno ha scritto moltissime opere, anche a carattere teatrale, alcune delle quali purtroppo sono andate perdute. Nel 1887 è eretto in Campo de’ Fiori un monumento a Giordano Bruno, con la statua in bronzo opera dello scultore Ettore FERRARI. Nel suo nome è nata nel 1906 l’Associazione del Libero Pensiero Giordano Bruno, aderente alla Union Mondiale des Libres Penseurs e della International Humanist and Hethical Union >>.