Riceviamo e pubblichiamo integralmente una nota di Gabriella CARONNA (nella foto), Consigliere del Gruppo PdL in seno al Consiglio provinciale di Terni:

<< La decisione di avviare il procedimento di riduzione delle Province prendendo a riferimento unicamente i parametri demografici, senza un’analisi approfondita delle realtà che la caratterizzano, sta provocando diffusi malumori e distinguo negli enti interessati, noi compresi. Condivido queste preoccupazioni. Infatti, la decisione per ora assunta appare assurda se calata in un contesto come il nostro in cui la Regione verrebbe di fatto a coincidere con una unica Provincia. Ci impegneremo per questo ad evitare che l’esigenza di risparmiare risorse si trasformi in un rimedio peggiore della malattia. Dissento però da gran parte del dibattito in corso apparso sulla stampa locale che, mentre brandisce rivendicazioni campanilistiche, mostra indicibili amnesie di una classe dirigente di centrosinistra, che demagogicamente oggi si erge in difesa di una cosiddetta “identità ternana”, dimenticando, ahimè, il lungo periodo di immobilismo e subalternità che l’ha contraddistinta quando il dibattito sul riequilibrio dei nostri territori era uno degli aspetti strategici ai quali legare il futuro non solo del nostro territorio, ma dell’intera Regione. Sono convinta che l’Ente Provincia non sia un ente inutile, ma che rischi di apparire tale a causa dell’ipertrofia del suo sistema. Occorre dunque (cosa che è tra l’altro l’interesse primario del decreto del Governo) che si avvii la eliminazione di ambiti, enti, consorzi e società partecipate di vario genere che soffocano la sfera pubblica e rappresentano un costo insopportabile per i cittadini.

A chi non lo rammentasse, inoltre, va ricordato che per anni si è avvertita la necessità di rivedere i confini tra le due province dell’Umbria, ma a sinistra nessuno dei nostri governi ha speso mezza parola a favore di questa esigenza forse “ … per non ledere il centralismo perugino ed il neo centralismo folignate che nel corso degli anni aveva sostituito l’idea della “terza provincia” con quel fumoso policentrismo cui ha teso la LORENZETTI, che altro non era che il proliferare di un multicentralismo che ha dissanguato le risorse degli umbri disperdendole tra ASL, Comunità Montane, Consorzi, Aziende , società pubbliche ecc. ecc. >> come di recente ha affermato sulla stampa il Consigliere regionale DE SIO, Coordinatore provinciale del PDL. Esisterebbe infatti una naturale consonanza tra alcuni territori (Spoleto e Valnerina) che per tradizione cultura e sviluppo economico gravitano nell’orbita degli interessi della provincia di Terni . Su questo tema, cui il centrodestra ha sempre mostrato attenzione, il centrosinistra ha cancellato persino quei coraggiosi segnali di discontinuità introdotti da Andrea CAVICCHIOLI, che è stato Presidente della Provincia di Terni dal 1999 al 2009 e con il quale ho personalmente condiviso, pur membro dell’opposizione (FI), anni di proposte comuni in Consiglio provinciale, all’UPI regionale ed al CAL. Intorno al 2007, in tempi non sospetti, prospettammo l’idea di un riequilibrio territoriale tra le due province per ottimizzare la macchina pubblica e per evitare il rischio di una disgregazione della stessa Umbria. Al tempo, in occasione della costituzione degli ATI, dall’intero Consiglio provinciale di Terni ritenuta un’inutile complicazione burocratica da abolire, sostenemmo tutti insieme che le attribuzioni andassero unicamente articolate sui tre livelli elettivi, Regione, Province e Comuni, lasciando alle Province quella gestione delle politiche di area vasta, dai servizi a rete ai rifiuti, al turismo, che invece la Regione voleva attribuire agli Ati. Per noi le Province dovevano avere più poteri e dovevano essere riequilibrate: con Terni potevano andare Spoleto, i Comuni della Valnerina e Massa Martana. Tutti al tempo sembrarono favorevoli alla proposta ed il riequilibrio sembrò a portata di mano, ma la Giunta regionale e l’allora Sindaco RAFFAELLI persero demagogicamente tempo e fecero silenziosamente marcia in dietro. Passato l’attimo fuggente, oggi è molto più difficile spingere di nuovo in questa direzione perché la proposta non è più solo un fatto umbro. Pur tuttavia ci auguriamo che la Giunta regionale viri in questa direzione e riconosca che il riequilibrio delle due province sia la “condicio sine qua non”. Perdonate l’insistenza, ma oggi intendo ribadire con forza che la posizione sostenuta dall’intero Consiglio provinciale di Terni nel passato mandato amministrativo è stata quella di una semplificazione spinta del quadro amministrativo, particolarmente necessaria in una regione di modeste dimensioni come l’Umbria. La traduzione di questa esigenza, indubbiamente oggettiva e fortemente auspicata a livello di opinione pubblica e di categorie produttive, in un’azione riformatrice concreta, comporta, ovviamente, l’attribuzione delle varie competenze ai tre soggetti elettivi, Regione, Province e Comuni, secondo le caratteristiche e le capacità operative degli stessi: la Regione soggetto deputato alla legislazione e programmazione generale, le Province titolari del governo di area vasta ed in tal senso anche dei servizi collocati in tale ambito, i Comuni come Enti di primo impatto per i bisogni del cittadino. Oggi come allora ribadisco che andrebbero invece soppressi tutti gli enti intermedi di qualsivoglia natura e ridimensionato il progetto delle Comunità montane, perché nello specifico la costituzione di un’Agenzia di Forestazione potrebbe rivelarsi un ulteriore carrozzone pubblico e una sottrazione di competenze proprio alle Province. In tale contesto la richiesta di un riequilibrio territoriale tra Terni e Perugia, oltre che muoversi sulla scia del dibattito nazionale in materia, che quantomeno esige una massa critica adeguata per l’Ente Provincia, rappresenta una necessità reale per la corretta gestione dei territori, dei servizi e delle risorse amministrative. Le esperienze negative degli Ati, Comunità Montane, Associazione dei Comuni, Enti di secondo livello di varia natura dimostrano come questo assetto sia l’unico che possa rispondere adeguatamente alla sfida del federalismo ed alle dinamiche socioeconomiche attuali. E’ evidente che un processo riformatore di questo genere deve portare ad una corretta allocazione delle competenze tra i tre soggetti elettivi, che escluda uno sterile sindacalismo istituzionale e produca effetti di efficienza amministrativa nonché risparmi reali e documentabili >>.